Da www.psicoterapia-cognitiva.it
di Cecilia Lombardo
È tutto una corsa pazza: la casa, il lavoro i figli, gli extra, gli imprevisti. Le cose che ci riempiono la vita sono ostacoli da superare per arrivare a fine giornata con la nostra lista dei doveri tutta spuntata. Però potrebbe anche andare diversamente e forse è possibile condurre la propria giornata con la libertà di scegliere quando rallentare e godersi il panorama, se non addirittura fermarsi.
- Dai forza, dobbiamo uscire.
- Un attimo! Devo scegliere il giochino da prendere.
- Veloce, su che siamo in ritardo!
- E che m’importa? Tanto a me non piace la scuola! Non trovo più il mio gioco, ora devo cercare in tutte le scatole.
- Hai tutto il pomeriggio per trovare il gioco, ci penserai dopo, ora sta per suonare la campanella.
- Noooo! un attimoooooo!
- Conto fino a 3 e poi fuori dalla porta, 1…..2…..3 tempo scaduto!
Questo siparietto può finire in tanti modi diversi, a seconda che il gioco sia stato trovato o meno, a seconda dei toni di voce usati, a seconda dell’umore della giornata del figlio e del genitore e delle relative possibili combinazioni. Parole e gesti possono gettare benzina sul fuoco della frustrazione di entrambi o riportare la calma.
Essere genitori può essere l’esperienza più frustrante e sfinente che capiti ad una persona e contemporaneamente l’esperienza più appagante ed esilarante della vita. Di sicuro è il ruolo a cui siamo meno preparati ed è una sfida continua. Come genitori ci si può sentire spinti e tirati in mille direzione, la vita va in sovraccarico, diventa difficile trovare il tempo per pensare, essere calmi, concedersi un momento di quiete e di svago.
Nella corsa per riuscire a fare tutto (lavoro, lavatrici, spesa, cucinare, accompagnare i pargoli al corso di batteria/ tennis/ danza, ecc…) diventa difficile stare con i propri figli, semplicemente stare, con la mente sintonizzata nel presente. I pensieri viaggiano verso la prossima cosa da fare o magari a riconsiderare errori e dimenticanze compiute. La rabbia per il fatto che le cose non vadano per il verso giusto, che i figli facciano capricci e pasticci si alterna spesso al senso di colpa postumo per le reazioni esagerate che possono prendere il sopravvento nei momenti critici. Passato il cortocircuito emotivo ci si rimprovera per aver alzato la voce, per essere stati bruschi, per aver ignorato una richiesta legittima del figlio. In un attimo si passa da sentirsi parte lesa in quanto dediti al figlio a discapito della propria libertà, al sentirsi dannosi per queste creature innocenti tanto amate. Il senso di colpa vira poi nel senso di fallimento e nel fatidico “sono una pessima madre”/ “sono un pessimo padre”.
Non esiste un protocollo, non esiste un manuale di istruzioni per genitori e, se ci fosse, avrebbe dimensioni mastodontiche: dovrebbe contenere così tante informazioni ed eventualità che non potrebbe essere contenuto in una normale libreria. E anche se in formato elettronico potessimo ridurne lo spazio occupato, un conto è la teoria, un conto è la pratica, su questo conveniamo tutti.
In teoria sappiamo che la ricetta migliore è “agire con dolcezza e con fermezza”, ma in pratica? Quando la bimba infila tutte le forcine che trova nello scarico della doccia? Quando un imprevisto ma tempestivo mal di testa si presenta proprio il giorno della verifica di matematica? Quando, dopo una giornata sfinente ma positiva insieme, ci si sente dire “sei cattiva, io non volevo te come mamma, ne volevo un’altra” solo perché “no, ora il palloncino no”.
Quando queste situazioni capitano ad altri sembra forse più semplice la gestione, se la scena la si guarda dall’esterno aumentano la lucidità e la saggezza. Che può quindi fare l’adulto per aiutarsi ad agire guidato dal buon senso invece che strattonato dalle forti emozioni?
Cose invero tanto banali quanto efficaci. Il “Mindful parenting”[1] propone un approccio alla genitorialità basato sul contatto con il momento presente e sulla connessione con le emozioni e i bisogni propri e quelli del figlio. Lo sguardo è diretto verso entrambi, genitore e bambino, l’obiettivo non è suggerire la cosa giusta da fare, ma dare al genitore alcuni strumenti per trovare una mediazione che tenga conto delle proprie risorse e necessità e di quelle del proprio bambino.
Un esempio. Di fronte ad un momento di crisi in cui ci sente arrabbiati/ frustrati/ confusi, può essere utile praticare questo esercizio:
- Fermarsi, mettersi in pausa, lasciare quello che si stava facendo.
- Fare respiri profondi. I respiri lenti diminuiscono l’attivazione emotiva, rallentano il battito cardiaco, più il respiro è profondo maggiore è la sensazione di calma, attraverso l’espirazione il corpo si rilassa e questo consente di pensare in modo più chiaro.
- Scegliere come reagire considerando
- Cosa sta succedendo ora?
- Cosa prova mio figlio? Quali emozioni e sensazioni?
- Di cosa ha realmente bisogno mio figlio?
- Cosa sto provando io? Quali emozioni e sensazioni?
- Di cosa ho bisogno io?
Il bisogno non coincide con la richiesta. La richiesta del figlio, che sia una nuova macchinina o un paio di jeans di marca, cela un bisogno profondo, si può soddisfare il bisogno senza cedere ad una richiesta che riteniamo eccessiva o un capriccio. L’ennesimo nuovo giocattolo ovviamente non è indispensabile, però quella pretesa può esprimere una necessità importante da soddisfare, magari il bambino si trova in un momento di noia, vorrebbe divertirsi, e in quel momento vede la cosa nuova da comprare come l’unica soluzione al disagio. In questo caso, se il genitore si coinvolge in un momento di gioco con lui o gli insegna nuove attività divertenti, va incontro alle esigenze del figlio molto di più che con un comodo sì alla tanto desiderata macchinina, che dopo poco giacerebbe dimenticata insieme alle altre e che tornerebbe ad essere imprescindibile per la propria esistenza solo quando la trova e la prende il fratellino, o quando è il momento di uscire di casa per andare a scuola.
Non solo le situazioni emotivamente stressanti della vita quotidiana ci mettono a dura prova come genitori, alcune difficoltà vengono da lontano, sono i messaggi che il nostro passato ci ha inciso dentro.
Da bambini ci può essere capitato di riprometterci che una volta genitori non avremmo mai fatto quella cosa, usato quella frase, o quel tono sarcastico che tanto ci ha feriti. Succede che senza volerlo commettiamo gli stessi errori che vorremmo proprio evitare. Il modo in cui siamo stati cresciuti dai nostri genitori e dalle altre figure di riferimento influenza profondamente il modo in cui educhiamo i nostri figli, ci rapportiamo a loro. Gli stili parentali passano da una generazione all’altra e tendono a rimanere stabili finché non sottoposti a riflessione cosciente, “si è sempre fatto così”, quello è il solco già tracciato e viene automatico seguirlo. E può andare benissimo, a meno che ci sia qualcosa che provoca sofferenza e si voglia provare a cambiare il cliché.
L’esercizio della consapevolezza può essere applicato a questa scia su cui ci adagiamo e sulle nuove scie che vorremmo creare per noi e per i nostri figli. Ci si può chiedere:
- Quali messaggi sull’essere genitori e sull’essere bambini mi sono stati trasmessi in famiglia?
- Quali valori, atteggiamenti, assunti sono importanti per me? Da dove vengono? Quali di questi vorrei trasmettere a mio figlio?
- Quali invece vorrei abbandonare?
- Quali valori, atteggiamenti, assunti diversi da quelli presenti nella mia famiglia di origine vorrei introdurre?
Fare delle pause, che siano spazi di riflessione, che siano “boccate d’aria” in senso più o meno letterale, (ovvero sia per respirare lentamente e calmarci nei momenti di stress, sia per perseguire gli altri scopi che riguardano la propria persona nella sua interezza) mette l’adulto in condizione di rispondere, invece che reagire alle situazioni critiche con i figli. Rispondere implica una scelta consapevole, quella che sembra più appropriata, mentre la reazione è istintiva, automatica.
Ciò che rende distorta, disfunzionale una relazione di attaccamento non sono gli errori sporadici, ma uno stile stabile negativo, una sistematica negligenza, o al contrario intrusività, o una costante tensione nel rapporto.
Il genitore perfetto non esiste, è un mito ed è bene che resti tale, altrimenti come faranno i figli a sentire il sano desiderio di andare via di casa un giorno?
L’attenzione a sé stessi, ai propri vissuti, al soddisfacimento dei propri bisogni, che non possono esaurirsi solo nel ruolo di madre o di padre, è altrettanto importante dell’attenzione alle esigenze del figlio. Abbiamo tutti fatto esperienza di una tendenza (subìta e agita) a far pagare le nostre personale insoddisfazioni, irritazioni, frustrazioni a chi abbiamo accanto. Si può tenere duro per un po’, ma se non si allenta, lo stress accumulato deborda. Il malumore è contagioso, così come il buon umore, per cui prendersi cura di sé ha un effetto a cascata positivo anche sugli altri.
Se a caldo a volte è difficile essere “mindful”, può essere utile parlare successivamente con il partner dei momenti di difficoltà avuti con i figli durante la giornata, anche questo è un modo per allenare la consapevolezza e per generare a mente fredda possibili alternative al nostro comportamento, il dialogo è di grande aiuto.
La mindfulness, così come la riflessione sul nostro passato e il modo in cui ci influenza sono strumenti utili non solo nell’ambito della genitorialità, ma anche in molte altre circostanze e relazioni.
Bibliografia
Larissa G. Duncan, J. Douglas Coatsworth, Mark T. Greenberg. “A model of Mindful Parenting: implications for parent-child relationships and prevention research”. Clinical Child and Family Psychology Review. 2009 Sep; 12 (3): 255-270.
Kristen Race, Ph.D. “Mindful parenting: simple and powerful solutions for raising creative, engaged, happy kids in today hectic world”. St. Martin’s Press
Daniel J. Siegel e Mary Hartzell. “Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori”. Raffaello Cortina Edizioni.
[1] Mindful è un aggettivo derivato dalla parola inglese “mindfulness” che significa consapevolezza nell’accezione di prestare attenzione a) con intenzione; b) nel momento presente; c) in modo non giudicante (Jon Kabat- Zinn). Si tratta di una modalità, mutuata dalla meditazione buddhista, per coltivare una più piena presenza all’esperienza del momento, al qui ed ora.
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